Andar per funghi nel ragusano significa principalmente cercare la “Funcia ra carrua”.

Anticamente era il contadino che, durante il periodo di raccolta delle carrube, frutto tipico dell’albero di carrubo (Ceratonia siliqua), sempreverde tipico del ragusano, appartenente alla famiglia delle Fabaceae (Caesalpiniaceae), trovava sopra il legno dell’albero (dalle radici fino ai rami) questa rarità di gusto, di sapore e di particolare bellezza compositiva: il fungo, in dialetto siciliano “a Funcia ra carrua”.

Si tratta di un microrganismo che vive e si nutre della lignina del carrubo e si presenta come una piccola massa informe, compatta, biancastra a strati sovrapposti, ricoperti nella parte finale delle mensole da fine pruina, sostanza cerosa che conferisce alla stessa un aspetto vellutato.

Il fungo di carrubo ha un peso di circa 1 kg, a volte magari più abbondante, ed è, per il sapore particolare, l’odore delicato, la colorazione variabile tra il rosa-latteo ed il bianco-latteo e giallino, una vera meraviglia della natura.

Il fungo, appena raccolto, viene dal contadino portato a casa come un trofeo di caccia e dallo stesso affidato alla massaia di casa per cucinarlo, nella tipica ricetta della cucina iblea, “a ghiotta”, per degustarlo, come in un pranzo di festa, assieme a tutta la famiglia.

Scientificamente il fungo, denominato “Laetiporus sulphureus”, si forma dallo sgocciolamento della linfa, abbastanza dolciastra, che si viene a formare sul legno dell’albero di carrubo molto longevo. Esso va a maturazione, dopo le prime piogge del mese di agosto.

Il fungo si lega all’albero attraverso un abbozzo laterale, il carpoforo che ha la funzione di tenerlo legato all’albero in uno alle varie mensole.

Il suo consumo, tipico della provincia iblea, rappresenta una chicca gastronomica per le massaie locali e per cuochi raffinati che lo utilizzano in molte ricette come primo, per risotti o spaghetti, come piatto unico e come un saporito secondo piatto con panatura per gustose cotolette.

Si tratta di una tipologia di fungo molto raro, quasi introvabile, difficilmente coltivabile e, proprio per questo il suo costo risulta molto alto ed il suo uso nei ristoranti molto limitato.

Si parla infatti di un prodotto principe della cucina no-global, dal sapore particolare quasi dimenticato e dal costo elevato per la sua rarità.